Non è facile per chi ha mamme settantenni e un’età che oscilla tra i 35 e i 50 anni, riuscire a sganciarsi dalla morsa di un confronto generazionale sul cibo, che diventa realmente impegnativo. Mia madre, ad esempio, che della guerra, vissuta da piccolissima, ha serbato solo la memoria del latte di capra bevuto durante lo sfollamento e della tavoletta di cioccolata offerta dai soldati americani, è cresciuta con la cultura che si mangia per vivere, e che, per vivere bene, bisogna mangiare bene, in qualità e quantità. E fin qui, con qualche riserva sulla quantità, tutto bene.
Ma la sua generazione è cresciuta anche con la convinzione che la carne, rigorosamente rossa (perché ne esiste di altro tipo ?), è necessaria al mantenimento di questa benedetta “buona salute”. E va mangiata, possibilmente tutti i giorni. Non vi dico quando sono diventata vegetariana, il dramma che mia madre ha vissuto mentre cercava di corrompermi con pregiati bocconcini carnivori, camuffati da verdure e ortaggetti vari, scontrandosi con la fermezza della mia decisione. Bene, ho cercato di spiegare, di far valere le ragioni dell’etica, della salute, dell’ecologia. Battaglie perse, il convincimento ancestrale è talmente radicato che ancora oggi non sono riuscita nell’impresa (anche se in verità, non cerca più di spacciare per pesce una polpettina di carne ben impanata). E allora che dire ?
I convincimenti sono alla base della nostra salute, e oggi credo sia più saggio accogliere e rispettare quelli di ciascuno, anche se le ultime acquisizioni scientifiche ci danno ragione del contrario. Ognuno crea i suoi meccanismi di sopravvivenza e man mano che avanza negli anni, questi si vanno sempre più radicando, al punto tale che cercare di smontarli può diventare più dannoso che il mantenerli. Quindi nei confronti dei nostri anziani più accoglienza e rispetto.
A tavola, e non solo.