Invitata dall’amico Corrado Vassallo, che sull’Etna produce i suoi vini , ho partecipato alla 13° edizione dell’evento “Le contrade dell’Etna” , che promuove il contatto tra produttori etnei e il pubblico, specializzato e non.
Da non bevitrice, quasi astemia, mi sono sentita all’inizio un pesce fuor d’acqua. Che ci fa un medico in questo contesto ? Una fitoterapeuta, questo sì, che del vino ha studiato le proprietà organolettiche, ma anche un medico specializzato in Prevenzione primaria e Stile di Vita, che spesso è costretta a far bandire dalle tavole dei pazienti proprio il vino, che in certi soggetti può anche facilitare il rilascio di istamina ?
E invece, memore delle mie esperienze di curiosa degustatrice, sviluppate in training olfatto-gustativi esercitati nelle piantagioni di thè indiane come ricercatrice erboristica, ho preso posto in una masterclass dedicata ai rosati. E così, tra amici vecchi e nuovi, è cominciata la mia avventura sensoriale.
Pur non bevendo d’abitudine, ho apprezzato la bellezza dell’esperienza in “tutti i sensi” e sono rapidamente risalita ai principi di quella che , ormai a pieno diritto, viene definita dalla scienza neurogastronomia. Si deve a Gordon Shepherd, ricercatore dell’Università di Yale, tale definizione, quando nel 2006 pubblicò su Nature le sue ricerche su come il nostro cervello crea il sapore. Il neuroscienziato riuscì a definire la via olfattiva – l’ olfatto retronasale– che si attiva nell’espirazione e che ci permette di “gustare” il cibo … e la vita.
Ma siamo consapevoli del fatto che qualsiasi cosa attiva il nostro cervello , è in grado anche di impedirne il declino cognitivo ?
E cosa c’è di più semplice che valorizzare ciò che già naturalmente siamo portati a percepire attraverso i nostri comunissimi 5 sensi ?
Da medico nutrizionista clinico, ciò che scopro ogni volta nei miei pazienti è che, dopo un periodo di alimentazione detox, il gusto e l’olfatto si liberano dai condizionamenti e le percezioni si fanno più potenti e raffinate. Con la giusta alimentazione scompare l’ottundimento di mucose congestionate, che impediscono alla sensorialità di lavorare al meglio per trasmettere al cervello ciò che i nostri apparati incontrano nella realtà esterna. Gli organi di senso richiedono, come tutto il resto del corpo, quell’igiene alimentare che non solleciti il sistema di immunotolleranza presente nelle mucose e preziosissimo alla nostra sopravvivenza ma fonte di guai anche in presenza di cibi avversi.
Un’alimentazione equilibrata è compatibile con i nostri sistemi psiconeuroendocrinoimmunitari e salvaguarda la funzionalità dei nostri sensori. Quando i messaggi arrivano al cervello ne permettono una migliore attivazione. Il risveglio di alcune aree encefaliche, mette in moto anche altri circuiti corticali. E la prima risposta di un cervello ben sollecitato e non tartassato da rimuginii o lasciato ad assopirsi nell’apatia, è la pronta risposta dei sistemi rigenerativi sani prodotti dal fattore di crescita neuronale, l’NGF, nerve grow factor, proprio quello che scoperto dalla Levi Montalcini alla fine degli anni 50, le valse molti anni dopo il Nobel per la Medicina.
Ergo, educare e coltivare i sensi ci mantiene giovani.
Nelle mie esperienze indiane, nelle full immersion naturali che questo magnifico subcontinente mi ha offerto, lontane dall’inquinamento, vicine al Tetto del Mondo, sono riuscita a comprendere il potenziale dei sensi e ho capito che ritmi di vita adeguati, riposo alternato ad attività con equilibrio, fluidificazione dei movimenti fisici, alimentazione essenziale, di qualità, e gustosa (perché un pasto semplice non significa sciapo, privo di sapori) sono le basi per poter entrare pienamente in relazione con il mondo al di fuori di noi e arricchire il mondo all’interno di noi.
E il vino ? Sarà che il rosa è il mio colore preferito ma mi sono divertita molto a partecipare alla masterclass sui rosati.
E’ inutile dire che la luce riflessa sul cromatismo di alcune libagioni servite al tavolo dei degustatori creava un effetto suggestivo. E con la guida di uno degli esperti, tra gli organizzatori dell’evento, Federico Latteri, e del mio amico Corrado, creatore orgoglioso di un apprezzato Etna rosato delle uve della sua tenuta Vagliasindi, mi sono divertita a guardare, annusare, gustare e … sputare ( proprio come un esperto degustatore) ognuno dei 12 vini presentati, restando colpita dai colori più intensi, dal carattere deciso del profumo di alcuni e dalla fragranza inaspettatamente originale di altri. Un vino ti parla, ti racconta il cammino che lo ha portato ad essere così com’è, e, proprio come un individuo, ha bisogno di essere ascoltato da un ricevitore consapevole che abbia cura del suo apparato di ricezione. E ciò è possibile solo grazie ad uno stile di vita adeguato.
Perciò anche se come me non avete né letto manuali, nè fatto corsi enogastronomici, ma avete il piacere di gustare il sapore, se la vostra salute e il vostro buon senso ve lo permettono, imparate ad assaggiare e a riconoscere la qualità del vino, come di qualsiasi altro cibo, che è sempre frutto di attenzione, cura e scelte etiche da parte dei produttori. Il gusto è una delle autostrade dell’evoluzione, forse la più complessa, che va educata e curata.
Un‘ ultima nota la dedico alla collaborazione e ha il sapore di un appello “politico” :
il vino dell’Etna è frutto della generosità del terreno che la Montagna offre. Gli operatori per poter stare al passo con esigenze di mercato e un servizio che valorizzi il territorio hanno l’urgenza di ragionare in termini di cooperazione. Ne ha parlato, declinandolo nell’ottica della visibilità della produzione, Attilio Scienza, tra i massimi esperti di viticoltura in Italia, il quale con una vera e propria lezione accademica, ha introdutto presentando le oltre cento contrade che producono i pregiati vini della Montagna. Scienza ha sottolineato l’esigenza di “raccontare” la storia d’insieme del vino etneo, superando la frammentazione che ancora oggi esiste.
“C’è bisogno di una narrazione comune che rafforzi l’immagine del territorio” ha dichiarato il docente milanese. L’unione fa la forza e in questo caso tutti i produttori con i loro vitigni sono figli di un’unica madre e come tali ci auguriamo lavorino.